Filosofia della religione
"Adamo dove sei?" Vocazione e conversione
Progetto di ricerca coordinato da Damiano Bondi*
Descrizione
I fenomeni religiosi della vocazione e della conversione, intimamente legati, sono stati fatti oggetto, a partire dal Novecento, di un rinnovato interesse da parte della teologia, della sociologia, della psicologia, e, non ultima, della filosofia. Essi consentono approcci multiformi giacché si muovono sul crinale tra una dimensione intima e una dimensione comunitaria: indice di questa fondamentale e irriducibile ambiguità è il loro essere variamente intesi come concetti che definiscono un gruppo umano più o meno ampio, oppure applicabili a un singolo individuo determinato. La tesi che vorrei argomentare, sostenere e vagliare, è che, se condotte ai loro estremi, queste due tendenze paradossalmente si unificano entro un quadro in cui la vocazione e la conversione, insieme, contribuiscono a rendere conto della specifica singolarità di ogni uomo in quanto essere libero. La vocazione, anzitutto, reca seco, nel suo stesso nome, questa feconda compresenza di un elemento orizzontale/comunitario e di un elemento verticale/interiore. “Vocazione” deriva dal latino vocare, e si ricollega al greco κλῆσις, klesis (da kaleo, “chiamo”), presente in molte lettere paoline per designare la chiamata di Dio all’uomo, e dell’uomo a Dio. Già in questo doppio vettore si possono individuare una dimensione “individuale” (Dio ha un progetto diverso per ogni uomo) e una dimensione “generale” (tutti gli uomini sono chiamati a fare la volontà di Dio). Ma la questione si ispessisce, e acquista un carattere sociologico, allorché si evidenzi che lo stesso termine greco klesis richiama ἐκκλησία, ekklesia, cioè l’assemblea (civile e/o religiosa), e che proprio in questo senso è usato nella Bibbia dei Settanta per tradurre il verbo ebraico מקא (qârâ’), da cui il sostantivo מקרא (miqrâ’) designante la “sacra adunanza”קדשמקראי (miqra' qodesh) (cfr. Lev 23,2;4;37).Dunque la vocazione “richiama” dalle sue origini anche la con-vocazione comunitaria. «La vocazione distingue e ricollega», scriveva Denis de Rougemont, ripensando nel secolo scorso questa bidimensionalità intrinseca della vocazione, poiché «Dio stesso, attraverso la vocazione che manda all’uomo», «lo distingue dalla massa e allo stesso tempo lo lega alla comunità nella quale è il solo responsabile del suo specifico modo di essere con tutti»[1]. In questo stesso senso, recentemente, Papa Francesco ha scritto che ogni uomo dovrebbe fare propria l’affermazione: «Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» (Evangelii Gaudium, 273), condensando così in un motto, da una parte, l’eredità della riflessione teologica (soprattutto protestante) sulla vocazione come non legata strettamente alla casta “sacerdotale” e, dall’altra, l’afflato ecumenico del cattolicesimo, teso a proclamare e realizzare la “convocazione universale” dei figli di Dio. Il concetto, ora richiamato, di “missione”, può fungere da tramite efficace per collegare la vocazione alla conversione, non tanto nel senso generico del termine (“missionario” come mirante alla conversione di qualcun altro), quanto piuttosto nel senso che ogni uomo è “mandato” nel mondo per rispondere a uno specifico progetto che Dio ha su di lui, e in questa risposta/responsabilità si realizzano simultaneamente la conversione a Lui, la conversione a se stessi – cioè alla propria “ragion d’essere” – e la conversione al mondo degli altri, secondo la dinamica della testimonianza personale. In questo senso lo specifico della conversione consisterebbe nel dotare la vocazione del libero assenso della volontà, elemento necessario affinché si possa concretizzare un appello che altrimenti resterebbe unicamente trascendente. Ecco perché l’interpretazione eminentemente psicologico-intimistica che della conversione ha dato William James, il quale vedeva in tale fenomeno un processo di “unificazione dell’io cosciente” secondo il richiamo di un fine nuovo e preponderante rispetto agli altri[2], dovrebbe almeno essere integrata dall’accezione esistenzialistica (pure doverosa di una mitigazione) che di essa ha fornito Barth, il quale addirittura scorgeva nella Umkehrung l’espressione precipua del nucleo della fede religiosa: «la fede è la conversione, il radicale nuovo orientamento dell’uomo che sta nudo davanti a Dio […] Essa non è mai compiuta, mai data, mai assicurata, è sempre e sempre di nuovo, dal punto di vista della psicologia, il salto nell’incerto, nell’oscuro, nel vuoto»[3].
La sottolineatura di questa dimensione libertaria e personale come tratto essenziale per una conversione autentica conduce ad una questione inaggirabile circa un dato spesso tralasciato nelle indagini sul fenomeno della conversione: ovvero le credenze di partenza del convertito, il “da dove” e non il “verso dove” della conversione[4]. Se infatti il successo dei «nuovi movimenti religiosi» in Occidente (Mormoni, Testimoni di Geova, Scientology, Hare Krishna, Soka Gakkai)[5] può essere interpretato come l’approdo finale di una ricerca diversificata che muove però da un medesimo stato iniziale di relativismo diffuso – tale per cui in certi movimenti esso sarebbe giustificato mediante la dissoluzione di un’idea dogmatica di Verità e il venir meno di un forte senso di appartenenza religiosa, e in altri invece esso troverebbe una contro-risposta granitica e integralista capace di ristabilire quel sentimento di testimonianza e perfino di militanza religiosa prima smarrito[6]– io penso invece che non si possa adeguatamente inquadrare tale fenomeno senza tematizzare filosoficamente l’esperienza del libero assenso insito in ogni credenza religiosa, sia “di partenza” che “di arrivo”: non si tratta, qui, banalmente, di avallare l’affermazione per cui “ogni religione è vera per chi ci crede”, quanto piuttosto di sottolineare che la verità religiosa può essere tale solo se qualcuno liberamente ci crede, giacché essa non si presenta come uno stato di cose oggettivo, bensì come una chiamata soggettiva, una continua “vocazione alla conversione” che si indirizza ad una persona specifica. Per concludere, mi sembra che tutte queste riflessioni possano efficacemente riassumersi nel primo grande interrogativo che Dio pone all’uomo nella Bibbia: «Adamo, dove sei?» Questa domanda, scrive Buber, «è rivolta in ogni tempo ad ogni uomo, e significa “Uomo, dove sei nel tuo mondo?”»[7] ; cosa ne stai facendo della tua “missione”? Ecco la chiamata,la vocazione alla conversione che suscita la risposta dell’uomo. La Verità, qui, viene esperita come domanda incessante, e richiede, per trovare risposta, che l’uomo liberamente se ne assuma l’impegno, davanti a Dio, a se stesso, al mondo.
Appuntamenti seminariali
5 marzo 2014La vocazione, tra individuo e comunità
9 aprile 2014
Vocazione individuale e convocazione comunitaria: la klesis biblica
14 maggio 2014
Tra filosofia e psicologia: la “conversione” in William James
1 ottobre 2014
Il corpo delle credenze. Pratiche di conversione e apostasia nei nuovi movimenti religiosi in Italia
28 ottobre 2014
L'esperienza della vocazione come seconda natura
Gli incontri seminariali si terrano presso la sede della Fondazione Centro Studi Campostrini a Verona, in via S. Maria in Organo, 2/4.
INGRESSO LIBERO
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Per maggiori informazioni:
Fondazione Centro Studi Campostrini
Via S.Maria in Organo, 2/4 - 37129 Verona
csfenomenoreligioso@centrostudicampostrini.it
[1] D. de Rougemont, L’Amour et l’Occident, Librairie PLON, Paris 1939, 1956², 1972³, trad.it. L’Amore e l’Occidente, Bur, Milano 2006 (RCS 1977¹), p. 463.
[2] Cfr. W. James, Conferenza IX. Conversione, in W. James, Le varie forme della coscienza religiosa, Bocca, Torino 1904, pp. 166-189.
[2] Cfr. W. James, Conferenza IX. Conversione, in W. James, Le varie forme della coscienza religiosa, Bocca, Torino 1904, pp. 166-189.
[3] K. Barth, Der Römerbrief, 1954, trad. it. L’epistola ai Romani, Feltrinelli, Milano 2002, p. 72.
[4] Cfr. G. Giordan (a cura di), Conversion in the Age of Pluralism, Brill, Leiden - Boston 2009.
[5] Thomas Robbins, Cults, Converts and Charisma. The Sociology of New Religious Movements, Sage, Londra 1988.
[6] Questa è in linea di massima la tesi di Massimo Introvigne: http://www.cesnur.org/2010/miconversione.html.
[7] M. Buber, Der Weg des Menschen: nach der chassidischen Lehre, 1948, trad. it. Il cammino dell’uomo, Qjqajon 1990, pp. 21.